Tutto il Grano del Mondo – seminario organizzato da SlowNews per riflettere sull’agricoltura attuale

Giovedì 24 Marzo si è tenuto il workshop online “Tutto il Grano del Mondo” organizzato da SlowNews cono lo scopo di riflettere su come il mondo dell’agricoltura stia reagendo al conflitto in corso in Ucraina. 

Per il DiSAA hanno presenziato l’economista e professore DiSAA Stefano Corsi, evidenziando fin dalle prime battute quanto l’import russo e ucraino di alcuni prodotti come soia, mais, grano e oli vegetali sia essenziale per le nostre filiere agroalimentari più importanti, quella lattiero casearia, quella delle carni lavorate, le preparazioni alimentari a base di grano tenero e duro. D’altro canto, le esportazioni di prodotti trasformati come vino, paste alimentari, latti e carni lavorate (oltre a frutta e ortaggi), giocano un ruolo fondamentale per la bilancia commerciale dell’agroalimentare del nostro paese, ma dipendono dall’import di materie prime e fattori di produzione.

La crisi Ucraina ha ridotto l’afflusso di alcune commodities ma soprattutto di input produttivi come i fertilizzanti a base di fosforo e azoto, che arrivano principalmente da Russia e Ucraina, e in carenza dei quali le rese produttive sono destinate a calare vertiginosamente. Inoltre, il problema dei prezzi dell’energia, che affligge tutto il sistema produttivo, non risparmia di certo l’agricoltura, fortemente dipendente dal gasolio agricolo e dall’energia elettrica.

Il seminario si è svolto qualche giorno dopo la riunione dei Ministri Europei delle Politiche Agricole a Bruxelles, in cui si è discusso di PAC, Politica Agricola Comunitaria, nata oltre 30 anni fa per garantire la sicurezza alimentare. Se negli ultimi anni, la PAC si era concentrata sulla sostenibilità ambientale, la pandemia pima e la guerra in Ucraina poi hanno spinto l’esecutivo di Bruxelles a ripensare questo percorso. In questi giorni la Commissione Europea ha messo a disposizione la riserva di crisi da 500 milioni prevista dalla Politica Agricola Comune, cui si aggiunge il cofinanziamento di misure di emergenza extra da 1 miliardo, e contemporaneamente ha introdotto una deroga agli obblighi PAC e al blocco all’utilizzo dei fitofarmaci sui terreni “a riposo”. Si tratta di una netta inversione di tendenza accolta con entusiasmo da molti operatori e vista con sospetto e preoccupazione dagli ambientalisti. 

Approccio diverso quello scelto dalla docente DiSAA Vittoria Brambilla che parla della tecnica di genome editing in agricoltura. 

Ma facciamo un passo indietro. Il genome editing si può utilizzare in qualsiasi organismo e ha importanti applicazioni ad esempio nella biomedicina come mostrato in figura 1, ma è in ambito vegetale che vede le sue applicazioni più d’impatto perchè permette di migliorare le specie coltivate, ricreando in pochissimo tempo e con grande precisione le mutazioni vantaggiose che si originano spontaneamente, ma con bassa frequenza, in natura.

 

 

Infatti, la maggior parte delle caratteristiche che rendono delle piante migliori di altre, ad esempio più resistenti agli stress ambientali o alle malattie, capaci di utilizzare meglio i fertilizzanti e altri input, sono date da semplici mutazioni nei loro DNA. Molte di queste mutazioni sono state negli anni “mappate” dai genetisti molecolari e hanno pertanto una posizione nota nel genoma, cioè nell’insieme di tutto il DNA di una cellula. Spesso anche la funzione del gene (che è un tratto di DNA codificante per una proteina), che mutato permette di acquisire un carattere vantaggioso, è nota. Per anni queste informazioni sono state accumulate ma non era possibile usarle agilmente per migliorare geneticamente le piante coltivate, fino all’invenzione del genome editing fatto con CRISPR. CRISPR è una tecnica molto semplice, democratica e soprattutto molto versatile. E’ stata utilizzata per migliorare con successo già quasi tutte le specie coltivate, anche quelle con genomi molto grandi (con sequenze più lunghe di altre di DNA) e/o duplicati. Tra tutte le specie coltivate il riso è quella che è stata più frequentemente modificata con CRISPR, questo perché è il primo cereale mondiale per consumo umano (la dieta di larga parte della popolazione asiatica è basata sul riso) e del riso si conoscono le funzioni e le mutazioni di tantissimi geni perché è oggetto di ricerca di moltissimi laboratori in tutto il mondo. 

Oltre al riso, le piante più “crispate” sono, in ordine di numero di tratti modificati: pomodoro, mais, soia, frumento, patata, colza e orzo. Tutte colture importantissime che, se migliorate, possono davvero cambiare l’agricoltura del futuro richiedendo meno input e producendo di più.

Ma come gli scienziati sono bravi a scoprire e inventare nuove cose, i legislatori spesso le fermano e, quando si tratta di cibo, le biotecnologie sono sempre viste male. Infatti, dopo gli OGM anche CRISPR è finita tra le tecniche vietate in Europa rischiando di trasformarsi nell’ennesima occasione mancata dalla nostra agricoltura per restare al passo coi tempi che, chiaramente, stanno cambiando. L’Europa, infatti, con una sentenza della Corte di Giustizia del 2018 ha assimilato il genome editing agli OGM, limitando la diffusione delle nuove tecnologie. Ma se l’Europa ha scelto di proibire CRISPR, i ricercatori Europei non hanno smesso di usarla per migliorare le piante ed è solo terza dopo Cina e USA per numero di piante prodotte. Tuttavia, mentre in Europa le piante vengono prodotte per ricerca o per piantarle altrove, nel resto del mondo in molti registrano varietà e consumano cibo CRISPR, tra cui quasi tutta l’America (Nord e Sud), l’Australia, il Giappone (nazione storicamente contraria all’uso di OGM che oggi vede sul mercato un pomodoro CRISPR con importanti proprietà nutraceutiche) e recentemente la Cina si sta preparando ad aprire all’editing. 

I nuovi problemi di approvvigionamento di cereali, fertilizzanti e altri beni agricoli primari ci aiuteranno a capire che in Europa non possiamo rinchiuderci in falsi problemi ideologici bandendo tecnologie “buone” e che potrebbero permetterci di produrre di più con meno input? Vittoria Brambilla chide il suo intervento con una domanda tutt’altro che retorica.