#MeetTheResearchers

Cassia Da Silva, brasiliana, arrivata al DiSAA nel 2009 per un dottorato sul miglioramento genetico del pesco, ha da poco vinto una posizione da ricercatrice RTDA di tre anni. In questa intervista ci parla di miglioramento genetico e di come il suo lavoro, e quello del suo team, stia cambiando con il cambiamento climatico in atto.

Cos’hai studiato in Brasile?

Ho fatto prima una laurea in agraria presso l’Universidade Federal de Bahia, seguita da un master di due anni nell’Universidade Federal do Recôncavo da Bahia.  

Hai sempre avuto la passione per la ricerca?

Sì, la ricerca per me è come un partner a cui sono legata da sempre e di cui non riesco a fare a meno. In Brasile, lavoravo principalmente con i frutti tropicali e le specie locali.

Certo, ci sono frutti molto diversi rispetto a quelli che si trovano qui.

Sì, e nella maggior parte dei casi non ci sono coltivazioni commerciali. In università, mi occupavo di attività di pre-breeding e di caratterizzazione di queste specie per fornire conoscenze scientifiche carenti se non addirittura assenti.

A quale scopo?

Lo scopo primario era quello di iniziare un programma di miglioramento genetico di queste specie. In Brasile ci sono frutti che arrivano anche in Europa come il mango e la papaya, e poi altri meno conosciuti (anche all’interno del Brasile) come la mangaba, il genipapo, la caja, l’umbu etc. Sono tutti frutti prodotti nei giardini privati dei cittadini, crescono con grande facilità favoriti dal nostro clima tropicale. Industrializzare la produzione di questi frutti, e insegnare alle persone come coltivarli al meglio, vorrebbe dire garantire cibo ed entrate economiche per intere regioni in Brasile. Ecco perchè ho iniziato ad esplorare queste colture.

E come mai hai scelto di studiare il pesco quando sei venuta in Italia?

Ora ti dirò un aneddoto curioso. In Brasile mangiavo frutti tropicali ma al supermercato compravo sempre i succhi alla pesca in brick.

Per te era un frutto esotico.

Si, non avevo mai visto una pianta, ma i succhi erano così buoni che ero curiosa di saperne di più. Quindi quando si è presentata la possibilità di fare un dottorato al DiSAA per partecipare a un progetto di breeding del pesco, studiare la diversità genetica e la qualità del frutto, non ho saputo resistere.

Ti sei trovata bene in Italia?

Quando sono arrivata nel 2009 non conoscevo l’italiano. E onestamente non ero neanche abituata alle infrastrutture che ci sono qui. Per la mia carriera è stata una gran bella opportunità. In Brasile, soprattutto nella mia regione, non c’erano e ancora oggi non ci sono molti finanziamenti per la ricerca. In Italia, ho iniziato ad usare tecniche più moderne come i marcatori molecolari e la mappatura genetica che sono strumenti preziosi per capire le basi genetiche dei caratteri ereditari.

Raccontami un po’ delle tue ricerche.

Lavoro nell’area della genetica. La mia principale linea di ricerca riguarda la genetica quantitativa, principalmente l’applicazione di approcci genetici-statistici per l’identificazione di regioni genomiche che controllano importanti caratteri agronomici. Una parte del lavoro si svolge anche in campo per le analisi fenotipiche sulla pianta, il fiore, sui frutti, i semi, etc. e in laboratorio per estrazioni di DNA, analisi con marcatori molecolari, analisi fisica e chimica dei frutti.

Qual è la differenza tra genetica quantitativa e qualitativa?

Con la genetica quantitativa noi studiamo i caratteri quantitativi che sono quelli più complessi, ovvero che risultano dall’interazione degli effetti di diversi geni. Ad esempio, il peso del frutto o dei semi. Si tratta di caratteri più difficili da capire perché la loro struttura genetica è poligenica e multifattoriale, dove il fenotipo è abbastanza influenzato sia dal genotipo che dai fattori ambientale.

Praticamente si tratta di geni che provengono da diversi cromosomi.

Sì e che concorrono al fenotipo che noi vediamo in campo. Lavoriamo con la mappatura di QTL (Quantitative Trait Loci), utilizzando diversi approcci come il QTL Mapping con le popolazioni segreganti, al fine di trovare le regioni del genoma che sono responsabili per un carattere in particolare.

Fammi un esempio.

Per eseguire uno studio di QTL mapping, si deve innanzitutto sviluppare una popolazione segregante, incrociando parentali molto contrastanti per il carattere di interesse. Considerando per esempio il peso del frutto oppure dei semi, si incroceranno una varietà che produce frutti/semi piccoli con un’altra dai frutti/semi molto grossi. Poi si analizzano le successive generazioni (F1, F2, etc).  I parentali e la progenie devono essere genotipizzati con marcatori molecolari, per esempio gli SNPs. Integrando i dati molecolari con dati da 2-3 anni di fenotipizzazione in campo è possibile scoprire dove sono le regioni del genoma che controllano il peso del frutto/semi. Questa è la base per sviluppare uno studio di QTL mapping, dove in sintesi dobbiamo avere: 1. I dati genotipici degli individui della popolazione segregante e dei parentali; 2. Le informazioni fenotipiche misurate in più prove di campo; 3. Integrare le informazioni genotipiche e fenotipiche utilizzando approcci statistici.

Beh è quello che fece Mendel con i piselli.

Sì usiamo ancora le sue idee. Secondo me il genetista più importante, senza dubbio il padre della genetica. Oggi però le conoscenze e tecnologie genomiche permettono di arrivare a risultati impensabili ai tempi di Mendel. Pensa che quando ero negli USA, all’università di Clemson, per un progetto di ricerca internazionale, ho avuto l’opportunità di vedere l’applicazione di moderni test del DNA, che servivano come supporto per i breeder la selezione di piante migliorate.

Questo passaggio me l’ero perso.

Sì, ho fatto un postdoc negli Stati Uniti presso l’Università di Clemson dal febbraio di 2017 fino a settembre di 2019. Ho lavorato nell’ambito del progetto internazionale RosBREED, finanziato dal governo statunitense con lo scopo di sviluppare e applicare test del DNA e tecniche moderne di miglioramento genetico per fornire nuove cultivar con elevata qualità, per esempio lo sviluppo di marcatori molecolari per prevedere se una pianta è suscettibile a una particolare malattia. In questo caso, è possibile applicare il test del DNA e scartare le piante suscettibili prima di piantare in campo ed evitare di aspettare 3-4 anni per vedere il risultato e capire che questa pianta è suscettibile a questa particolare malattia.

Eh certo, in questo modo si guadagna tempo.

Sì, si tratta di test molti efficaci.

Perché secondo te è importante il lavoro di breeding di voi genetisti?

Il lavoro di breeding è importante per diverse ragioni. Senza dubbio per la salvaguardia della biodiversità, l’aumento della produttività agricola senza venir meno alla qualità del prodotto. Con il cambiamento climatico, il breeding è anche importante per lo sviluppo di materiali resilienti, resistenti alle malattie e alle infestazioni, tolleranti agli stress ambientali e adatti a diversi ambienti.

Come cambia il tuo lavoro con questi cambiamenti climatici

Prima esisteva una grande preoccupazione con la qualità e la produttività. Quando ho cominciato, lavoravo solo sulla qualità del frutto. La qualità del frutto è un aspetto molto importante dal punto di vista commerciale. Invece con il cambiamento climatico dobbiamo preoccuparci non solo con la qualità, ma stare attenti anche allo sviluppo delle piante, all’adattamento agli stress ambientali, i cambiamenti nelle precipitazioni e nelle temperature, la resistenza alle malattie e soprattutto comprendere e tenere conto dell’interazione genotipo-ambiente.

Secondo te i cambiamenti sono veramente così evidenti?

Sì, le stagioni sono cambiate. Per esempio, la primavera è più calda, oppure ci sono gelate primaverili, temperature estreme, estati più lunghe. E questo ovviamente provoca delle conseguenze per le piante, nel loro periodo di semina, fioritura e fruttificazione. Tra qualche anno potrebbero cambiare le coltivazioni delle nostre zone, in parte si sta già verificando.

Anche in Brasile il cambiamento climatico si fa sentire?

A occhio forse un po’ meno per le persone. Non se ne parla tanto. Almeno nella mia regione tropicale dove non ci sono le 4 stagioni come qui. È notevole l’aumento di eventi estremi, momenti di forti piogge alternati a lunghe ondate di siccità. Questo si traduce non solo in conseguenze sull’agricoltura, ma anche conseguenze sociali. Il problema in Brasile è che molte città, o quartieri, le favelas, non sono adatte a sopportare piogge abbondanti e con il conseguente smottamento delle abitazioni, molte persone rimangono senza una casa in cui vivere. Invece la siccità nel Nordest del Brasile è una delle principali conseguenze del cambiamento climatico nella regione. È un problema antico e sta peggiorando negli ultimi anni.

Continui a collaborare con i tuoi colleghi brasiliani?

Ogni volta che riesco, non solo quando vado in Brasile. Anche con seminari e convegni online e poi sono stata correlatrice di una studentessa di dottorato. Quando vado in Brasile faccio sempre una presentazione dove parlo del mio lavoro in Italia e seguo, per quanto possibile, studenti di laurea, master o dottorato contribuendo alla loro formazione. Per me è veramente un piacere! Una sorta di impegno sociale, per ricambiare l’investimento che loro hanno fatto su di me in passato.