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Due chiacchiere sull’importanza dell’economia circolare con il Professor Giorgio Provolo, docente ordinario di Costruzioni Rurali e Gestione Sostenibile dei reflui zootecnici.

Professore, entriamo subito nel vivo della discussione.

Una delle 4 specializzazioni previste per gli studenti che il prossimo anno affronteranno il nuovo corso di laurea in Agricoltura Sostenibile è quello di Economia Circolare. Mi può spiegare cosa impareranno i ragazzi che sceglieranno questo percorso formativo?

A ridurre al minimo gli sprechi ed a valorizzarli il più possibile dal punto energetico creando un circolo virtuoso. Ad un primo processo, ne segue un altro, poi un altro ancora. Alla fine il consumo di energia fossile e produzione di rifiuti che non possono essere riutilizzati e vanno in discarica risulta essere minimo, se non nullo.

Un meccanismo circolare appunto.

Per esempio, ci sono delle tecniche per la gestione dei fertilizzanti, dei pesticidi e di materie prime utilizzate in agricoltura che ne minimizzano l’uso e riducono così gli sprechi. Esistono meccanismi per il riutilizzo dei sottoprodotti, volti alla produzione di energia e recupero di nutrienti.

Beh è nel DNA degli agricoltori utilizzare tutto.

Stiamo andando verso un tipo di società che richiede la riduzione degli input e al tempo stesso un aumento dell’efficienza produttiva, con una riduzione degli scarti. Questo significa che dobbiamo capire come valorizzare i rifiuti rimettendoli in circolo come materie prime, oppure trattare questi materiali per ottenere energia.

È un tema molto sentito, anche a livello europeo.

C’è stato un lungo periodo in cui l’utilizzo risorse naturali è stato modesto. Una grande accelerazione si è verificata nel secondo dopoguerra quando il problema principale era soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione. Anche su questo è nata la comunità europea. Poi però, c’è stato lo sviluppo industriale e abbiamo cominciato a produrre troppo talvolta con un utilizzo indiscriminato delle risorse.

Il boom degni anni ’80 e l’inizio della società consumistica.

Oggi abbiamo superato questa fase e cerchiamo sempre di più di progettare per il riutilizzo. Pensa alle macchine. Ad oggi si progettano pensando già a come, a fine vita, si potranno smontare per recuperarne le singole parti.

Penso anche ai telefonini e al quantitativo di materie prime che si possono ricavare dal loro riciclo.

Molti di questi componenti sono costituiti da materiali rari che si trovano in poche miniere al mondo. L’Unione Europea sta puntando molto sulla circular economy. Pensa al Green Deal e alla strategia From Farm to Fork il cui accento è proprio sulla circular economy.

Dovevamo arrivare a questa situazione emergenziale dal punto di vista climatico e ambientale per capire l’importanza del riutilizzo?

Beh se ne conosceva già la rilevanza ma non ci si preoccupava per via dell’abbondanza di risorse. La disponibilità, a basso costo, di materie prime ti spinge ad utilizzarle di più.

Con la benzina a 2 euro al litro e ci penso due volte prima di prendere la macchina.

Beh con i fertilizzanti vale lo stesso discorso. 

Nella strategia From Farm to Fork la riduzione dei fertilizzanti è menzionata esplicitamente.

Bisogna utilizzarne di meno e aumentarne l’efficienza. Anche perché il costo dei fertilizzanti è legato anche al costo dell’energia. E con i prezzi attuali…

Insomma, tutto è collegato

Si, pensa che molti agricoltori ora utilizzano i liquami al posto dei fertilizzanti. Poco tempo fa non era così ma oggi è di gran lunga la soluzione più economica.

Di necessità virtù…

In molte zone del Nord Italia si è sviluppato molto l’allevamento zootecnico e il numero di animali è diventato molto più elevato rispetto a quello che poteva essere in equilibrio con il terreno. Di conseguenza, la quantità di effluenti e i nutrienti è molto più alta di quello che possono utilizzare le colture.

Di qui il problema di cosa fare con questo surplus.

In molti casi gli effluenti vengono sprecati. L’obiettivo è capire come gestirli nel migliore dei modi al fine di ridurre automaticamente le perdite verso l’ambiente. Un tempo l’intero sistema era in equilibrio. Gli animali mangiavano quello che veniva prodotto nel territorio circostante. Le aziende non avevano mercato esterno e dunque gli animali mangiavano ciò che era prodotto localmente. Gli effluenti tornavano al terreno che li aveva prodotti e si chiudeva così il circolo della fertilità.

Cosa è cambiato ora?

L’apertura dei mercati ha completamente scardinato il modello appena descritto. La maggior parte della fonte proteica, per esempio la soia, destinata all’allevamento ora viene prevalentemente dalle Americhe.

Che succede quindi?

Noi compriamo proteine, e quindi azoto che ci troviamo a dover gestire e smaltire. Gli animali trattengono appena il 30% di quello che mangiano. Di conseguenza, mangiando 100 mi trovo a dover gestire uno scarto che è pari a 70.

Quindi in sostanza abbiamo un extra da smaltire, che si accumula e che dobbiamo imparare a riutilizzare.

Gli effluenti non sono solo una fonte di nutrienti. Per esempio si possono valorizzare dal punto di vista energetico visto che tutta la sostanza organica è energia. Una opzione è produrre biogas. Non dimentichiamoci che la produzione di energia dagli scarti può anche rappresentare un reddito economico per un’azienda.

In questo caso si unisce sostenibilità ambientale con sostenibilità economica.

Che è altrettanto importante. In alcuni contesti si tende a considerare solo l’aspetto ambientale ma non dobbiamo scordarci che se non riusciamo a mantenere anche la sostenibilità economica distruggiamo il nostro territorio. In Lombardia c’è un patrimonio agricolo-zootecnico di inestimabile valore. Pensare a un contesto come quello lombardo senza allevamenti vuol dire far crollare l’intera gestione del territorio.

Forse attori come Amazon si sfregherebbero le mani e vedrebbero diventare realtà la possibilità di cementificare laddove ora si coltiva…

Negli ultimi tempi si è capito che pensare al territorio senza agricoltura, al di là dell’aspetto sociale, altro pilastro da prendere in considerazione quando si pensa alla sostenibilità di un’azione, vuol dire anche non considerare l’aspetto della sicurezza alimentare, intesa come sia come disponibilità sia come qualità dell’alimento.

Fino a qualche anno fa si diceva perché coltivare se si può comprare dall’estero? Ora credo che gli ultimi risvolti geopolitici facciano riflettere in questo senso.

Attenzione però, perché noi uomini abbiamo la memoria corta. Sicurezza alimentare vuol dire essere sicuri di disporre di prodotti di qualità e che consentono di avere elevati valori nutritivi. 

Se non sbaglio c’è stata una rivisitazione della PAC per ampliare l’utilizzo dei suoli agricoli in EU.

Sì, in seguito alla crisi ucraina, è stato consentito l’utilizzo di alcuni terreni che prima erano lasciati a riposo. Ma sinceramente ho qualche dubbio sull’utilità e sull’efficacia dell’operazione.

Perché?

Si tratta di azioni non sincronizzate con il sistema agricolo. Il frumento che oggi possiamo coltivare sarà pronto non prima dell’anno prossimo quindi non aiuta a risolvere l’emergenza in cui ci troviamo. Coltivare terreni aggiuntivi vuol dire investimento. Con i prezzi di mercato attuali, sementi e fertilizzanti costano il doppio. Siamo sicuri che i prezzi di vendita saranno ancora così alti l’anno prossimo? Servono delle garanzie sennò l’agricoltore non è incentivato. Il mercato attuale è troppo volatile. C’è troppa speculazione.

E per la Circular Economy bisogna investire in partenza?

Il passaggio dal sistema attuale ad un sistema circolare completo è un percorso. Ci sono tanti aspetti che devono essere valutati e interventi che possono essere fatti. È una questione di educazione in primis.

Mi faccia un esempio.

Pensa a quando chiudi il rubinetto dell’acqua mentre ti lavi i denti, o ti ricordi di spegnere la luce….lo stesso vale in agricoltura. Per dosare meglio alcuni mezzi tecnici entrano in gioco fattori organizzativi e gestionali, che quindi non richiedono investimenti. Se invece si vuol fare un passo ulteriore, per esempio far il trattamento degli effluenti allora si deve investire in un impianto. Siamo ancora distanti dall’arrivare ad un sistema economico che riesca ad essere sostenibile al 100%.

Il DiSAA sta lavorando duro per migliorare la circolarità delle produzioni. Lo dimostra anche il suo ruolo da coordinatore delle attività di ricerca del Centro Nazionale Agitech in tema di economia circolare.

Il nostro referente è il Professor Fabrizio Adani. Il neonato Centro Nazionale Agitech è una struttura molto complessa che unisce università, enti pubblici e privati e che si occuperà per un periodo di 3 anni almeno di analizzare tutte le tecniche che possono sfruttare i sottoprodotti o scarti. Si articola in quattro blocchi principali: l’estrazione di molecole e composti dagli scarti, la produzione di energia e il recupero di gas, i fertilizzanti e l’aumento dello stoccaggio di carbonio nel terreno e la valutazione della sostenibilità attraverso modellistica ed analisi economiche.

Noi ci siamo conosciuti lo scorso anno quando durante la presentazione dei risultati del progetto Arimeda.

Un progetto europeo, un finanziamento LIFE che ha studiato, e consolidato, una nuova tecnica per evitare la dispersione di ammoniaca nell’atmosfera. Parliamo sempre di reflui zootecnici. L’ammoniaca è presente nei liquami sotto forma di ione ammonio e tende a volatilizzare come ammoniaca. Una volta in aria può ricadere sullo stesso terreno o disperdersi nell’aria dove si lega ad altre sostanze, in particolare ad ossidi di azoto e zolfo, formando particolato. Quando sentiamo i media allarmarsi in riferimento alle particelle PM che permangono in atmosfera e influiscono sulla qualità dell’aria, a preoccupare è anche la concentrazione di ammoniaca che è principalmente di origine agricola, e in particolare zootecnica. Con il progetto Arimeda abbiamo dimostrato che ridurre le emissioni è possibile dosando bene il liquame per le colture, aumentando l’efficienza e riducendo le perdite.

Si tratta di ricerche molto rilevanti, con un’implicazione tangibile.

Tutte queste ricerche sono multidisciplinari. Richiedono conoscenze tecniche di chimica, fisica, meccanica, agronomia, ecc.. Ecco perché la formazione dei nostri studenti ha una base teorica molto forte. I nostri laureati acquisiscono solide basi in campo meccanico, ingegneristico, ma anche chimico, statistico, economico e matematico. È uno degli elementi distintivi del nostro facoltà e corsi di laurea.

Alcuni studenti si lamentano perché si aspettano un approccio più pratico, fin dal primo anno.

Si, il primo anno è lo scoglio più grande. Ma noi docenti l’abbiamo capito e cerchiamo di contaminare le materie di base con quelle applicate fin da subito. Per esempio, se parliamo di fisica, relazioniamo le sue leggi al moto di un trattore. Se parliamo di matematica eseguiamo dei calcoli applicati ad un contesto agricolo, o ancora il concetto di integrale e di funzione lo si vede applicato alla crescita dei microrganismi in modo da consentire allo studente di capire il perché sta studiando quella materia. Anche azioni di tutoraggio aiutano i nostri studenti a raggiungere buoni risultati.

D’altronde le statistiche occupazionali della facoltà, secondo gli ultimi dati di Almalaurea sono molto incoraggianti.

Decisamente. Per la nostra magistrale in Scienze Agrarie per la Sostenibilità (precedentemente chiamata scienze agrarie) abbiamo più del 90% di occupazione in un anno. La percentuale per le donne è del 100%.