#MeetTheProfessors
Una chiacchierata con il Professor Guido Sali, Laureato in Agraria, con specializzazioni in economia politica e estimo, soprattutto nel contesto della valutazione dei beni connessi con il settore agricolo. Nominato nel 2015 delegato del Rettore per le tematiche di cooperazione dell’Ateneo, il Professor Sali è il Direttore del Master in Cooperation for Rural Agri-Food Sustainable Development in partenza quest’anno.
Professore, entriamo subito nel vivo della tematica.
Com’è fare cooperazione sul campo?
I due pilastri su cui l’ateneo imposta la sua attività di cooperazione sono l’ambito agro-alimentare e l’ambito sanitario. Capita sovente di affiancare le NGO attive sul territorio con pareri tecnico-scientifici su progetti in corso o nella scrittura e realizzazione dei progetti e valutazione ex-post per capire come migliorare e rendere sempre più efficaci gli interventi sul campo. Consapevoli di quanto sia importante la formazione su queste tematiche, quest’anno proponiamo un nuovo Master in Cooperation for Rural Agri-Food Sustainable Development.
Come si struttura il Master?
Innanzitutto, è un master in lingua inglese e da remoto, quindi ci si può iscrivere anche senza mai venire a Milano.
Ormai siamo pratici di DAD dopo questi due anni di Covid.
Non solo, vogliamo dare al corso un profilo altamente internazionale, quindi ci aspettiamo studenti da ogni parte del mondo. Abbiamo già l’interesse di Haiti e del Congo. Di sicuro altri paesi si aggiungeranno e arriveremo ad avere un gruppo di studenti internazionale.
Mi dica un po’ come saranno strutturate le lezioni.
Le lezioni sono divise in: 1) classiche lezioni frontali, 2) i seminari con contributi e key studies di altissimo livello da parte del mondo operativo già impegnato sul campo, ma anche da parte di alti funzionari UE e delle Nazioni Unite per offrire agli studenti un quadro geo-politico d’insieme. 3) Infine ci sono le esercitazioni dove gli studenti saranno chiamati a lavorare in gruppo e ad esaminare e affrontare problematiche specifiche.
Mi faccia qualche esempio.
Le tipologie di progetti sono svariate. Si va dalle politiche e analisi del contesto, fino alla progettazione tout court per affrontare tematiche specifiche come l’irrigazione di un campo con remote sensing, o all’assessment di un territorio incolto per definire la strategia di intervento migliore. In sostanza i progetti vengono ideati, elaborati e confezionati dagli studenti e poi viene valutata la loro coerenza interna.
Quali sono i criteri di accesso al Master?
Nell’ottica di stimolare al massimo la creatività della classe, abbiamo deciso di permettere l’accesso con background universitari di varia natura. Come più volte sostenuto anche dal MIUR, l’importanza della “contaminazione” consente di vedere i problemi e, di conseguenza, le possibili soluzioni non da un’angolatura specifica ma multidisciplinare. Credo che sia un aspetto importante da considerare, specialmente quando si parla di cooperazione allo sviluppo.
Ma cosa può fare uno studente dopo aver conseguito questo Master?
Può occuparsi di varie cose, dalla consulenza prettamente tecnico-agronomica alla fase progettuale, valutativa, alla raccolta di una base line socio-economica di un territorio, anche in base agli interessi di ognuno.
E poi ci sono le NGO con cui il Master è affiliato…
Che nella maggior parte dei casi hanno progetti già in corso. I nostri studenti potranno inserirsi in attività già in atto.
Mi sembra molto interessante, anche in termini di prospettive future.
Il partenariato con un numero consistente di NGO è senza dubbio uno dei punti di forza del corso. Esse non solo forniscono case studies da trattare nei seminari ma possono anche accogliere lo studente nella fase di tirocinio finale.
Quanto dura il tirocinio?
Tre mesi circa. Credo ci sarà la possibilità di fare un buon match making tra interessi degli studenti e progetti a disposizione. Anche il Ministero degli Esteri ha detto che accoglierà dei tirocinanti.
C’è la possibilità di rimanere nei progetti?
Beh dipende dal progetto. Credo che le NGO abbiano la possibilità di continuare il rapporto con lo studente che fa il tirocinio. La ricaduta occupazionale a fine corso sarebbe sicuramente positiva.
So che ci sono anche delle borse di studio a disposizione.
Si, l’Ateneo mette a disposizione una somma per attivare 4 borse di studio in cui la quota di ammissione viene abbattuta del 75% e 4 borse in cui la quota viene abbattuta del 50%. Questo per noi è importante in quanto consente la partecipazione a chi ha problemi di tipo economico in quanto l’ISEE è uno dei due pilastri su cui si esprimerà la commissione valutatrice, oltre che il merito universitario e la provenienza.
Ci parli di un progetto ben riuscito, che ha segnato un cambio positivo nei confronti della popolazione locale?
Penso subito al Libano, dove in collaborazione con la NGO AVSI, nel 2007, ho guidato un progetto che prevedeva la ristrutturazione del sistema irriguo di una piana, coltivata ad ortaggi e suddivisa in proprietà molto piccole con tanti beneficiari. La piana era stata bombardata durante gli scontri tra Libano e Israele nel 2007. Nel riabilitare il sistema irriguo abbiamo proposto di passare da canalizzazioni a cielo aperto con fossi a un sistema in pressione con tubature interrate e bocchettoni, per migliorare l’efficienza d’uso della risorsa idrica che in quell’area è particolarmente scarsa, offrendo quindi la possibilità agli agricoltori attaccarsi alle sue prese per irrigare. Ciò che per noi era un semplice cambio di strumentazione, per la popolazione locale era anche un cambio di tipo culturale. Mentre prima si prendeva il quantitativo di acqua desiderato direttamente dal fosso, con il nuovo sistema erano necessarie coordinamento e organizzazione. Oggi, dopo 15 anni dalla sua realizzazione, il sistema è ancora in uso, segno che ogni tanto una continuità e sostenibilità dell’attività si riesce ad ottenere.
Forse un cambio di approccio è la cosa più difficile da proporre…
Siamo andati step by step. Innanzitutto abbiamo creato un organismo che gestisse questa cosa. Si è formata un’associazione di utenti dell’acqua che fortunatamente dopo la fine del programma è rimasta in vita e questo sistema di irrigazione ha continuato ad essere gestito comunitariamente.
Ci parli adesso di un caso sfortunato, ovvero di una situazione in cui sono state spese molte risorse ed energie e finito il progetto non c’è stato seguito.
Eh qui entriamo nel grosso e complicato tema della sostenibilità di tutti i progetti di cooperazione. Purtroppo, e a dirlo sono i numeri, è difficile trovare una continuità nelle attività dopo che il finanziamento finisce e la NGO ha chiuso le attività. E questo dipende dalla difficoltà dei sistemi locali a rendere durevoli determinati interventi in assenza di risorse esterni.
Per questo, uno dei temi su cui ci battiamo di più in Ateneo è il tema della formazione e del capacity building ovvero il trasferimento delle conoscenze per trovare possibilità di far propri determinati contenuti.
Mi sembra un approccio sensato.
È diventata una riflessione generale, giusta da fare, da cui è emerso che è necessario investire in formazione. Con UniMi si era ventilata la costruzione di una facoltà di agraria in Burkina Faso e in Costa D’Avorio anche su suggerimento dell’ AICS, Agenzia Italiana per la Collaborazione allo Sviluppo, ma poi non si è più concretizzato.
È anche per questo che il Master sarà anche a distanza?
Si. È un modo concreto per dislocare e garantire la frequenza anche a chi non riesce per varie ragioni a venire in Europa.
Poi credo sia anche un momento storico un po’ particolare per parlare di temi come sicurezza alimentare e sovranità territoriale.
Se fa riferimento alla guerra in Ucraina, direi che in Africa ci sono guerre che vanno avanti da anni di cui nessuno parla e che non accennano a nessuna de-escalation, purtroppo. Credo che la guerra attuale tra Russia e Ucraina più che ripercussioni in termini di sicurezza alimentare creerà nuovi equilibri geo-politici legati alla sicurezza alimentare. Tutto quello che arrivava dai paesi in guerra ora arriverà dalla Cina o da paesi che non vedono l’ora di occupare “spazi lasciati vuoti”. La dipendenza dell’Africa dalla Cina, già rilevante, aumenterà ancora di più con un conseguente cambio di equilibri.
In effetti, la Cina scalpita. Ma anche altri…
E in questo contesto c’è da affrontare il tema delle risorse finanziarie date alla cooperazione.
In questi giorni si parla di un 2% del PIL per le spese militari
In realtà c’era anche l’impegno con le Nazioni Unite, quindi a livello mondiale, di destinare alla spesa per la cooperazione fino allo 0.7% del PIL. Attualmente siamo allo 0,2%, quindi siamo a meno della metà. Forse ora sarà considerato un impegno di serie B visto che il dibattito, almeno in Italia, non è molto acceso. Una delle NGO che collabora con il Master, Link2007, ha mandato una lettera al Parlamento per ricordare che esiste anche questo impegno e che forse è più importante delle spese militari.
Purtroppo la situazione non è rosea.
Credo che sia importante per l’equilibrio globale dare spazio a tutti e convivere con tutti. Magari dico un ovvietà ma questa credo sia la chiave per garantire la pace in giro per il mondo perché in ogni caso vediamo che tutte le tensioni hanno lo stesso leitmotiv: interessi o potere del singolo versus e gli interessi della comunità. Quello di cui si occupa la cooperazione è la cosiddetta diplomazia per la pace. Ma ricordiamoci che la pace richiede un minimo di benessere: se una persona è affamata si arrabbia!
Sicuramente anche la crescita demografica non aiuta
La lotta per le risorse scarse porterà a situazioni difficili. Se non si riesce ad affrontare i problemi con un altra ottica, in primis in Europa, va a finire che ci armiamo sempre di più.
Quindi se le chiedessi la qualità più importante che deve avere un cooperante cosa risponderebbe?
L’empatia. Chi lavora nella cooperazione allo sviluppo deve avere voglia di entrare in rapporto stretto con le comunità con cui poi si opera. Ma rapporto stretto significa capire e conoscere il modo di pensare altrui. L’impostazione della vita cambia andando in altri contesti in cui il balzo culturale è molto alto. Per esempio, una cosa che ho notato in Africa Sub-Sahariana è che noi portiamo la “cultura della misura” ma li la misura non è l’elemento fondamentale per agire e far le cose. Per cooperare con le popolazioni locali in modo efficace e proficuo bisogna capire il perché. Non è detto che sia sbagliato.
Mi ricorda un passaggio di Ebano in cui Ryszard Kapuściński racconta la concezione del tempo per gli africani. Il bus parte quando è pieno, non ad un orario preciso, e tutti vivono questa cosa con estrema tranquillità.
Non è sempre facile. Io stesso mi sono trovato ad innervosirmi un po’. Durante l’ultima missione in Congo avevamo appuntamento alle 9 alla Caritas e alle 11 eravamo ancora li ad aspettare. Che ci potevo fare? Credo che chi intraprende un attività di questo genere deve mettersi nella testa degli altri su tante piccole cose. Ma male non fa.
Sito Master: https://sites.unimi.it/mastercosad/
A proposito del Master: https://disaapress.unimi.it/2022/03/25/master-in-cooperation-for-rural-and-agri-food-sustainable-development/